In un’intensa Milano Design Week, iGuzzini ha presentato Italian Echoes
Le riedizioni delle lampade Zurigo di Luigi Massoni e Polsino di Gio Ponti segnano una vicenda che ha il sapore del ritorno a casa e, al tempo stesso, quello della visione lungimirante. Ma, per capirne la doppia natura antica e futura, bisogna riavvolgere il nastro di qualche decennio.
È la metà degli anni Sessanta quando Luigi Massoni entra alla Harvey, azienda della famiglia Guzzini che realizza oggetti per l’illuminazione, per poi introdurvi, di lì a poco, anche Gio Ponti. I produttori marchigiani, nati con la lavorazione del corno, erano passati negli anni Cinquanta alla termoformatura. Il passo sembra enorme – e lo è – sebbene sia in realtà un segno di continuità tra tradizione e innovazione. Più di ogni altra è la Zurigo di Massoni a rappresentare al meglio il processo di qualificazione delle materie plastiche attraverso il design. Infatti, Massoni non sarà solo un designer per Guzzini, ma anche un consigliere prezioso, progettando spesso di concerto con l’ufficio tecnico e indirizzando la produzione, per esempio, verso il colore. Quest’ultimo diventerà protagonista, non solo nella casa degli italiani desiderosi di dimenticare il grigiore della guerra, ma anche nella produzione Guzzini.
Quando Ponti entra in azienda con i progetti di due lampade, inizialmente chiamate solo “la Piccola” e “la Grande”, è già un Maestro: il grattacielo Pirelli ha identificato la Milano della nuova modernità e la Superleggera è un’icona di arredo che coniuga passato artigianale e futuro industriale.
Polsino è una lampada che parla del suo autore, del contesto storico e dell’azienda.
E’ espressione di concetti molto cari a Ponti, come quello della scalarità – secondo il quale oggetti di scale spaziali diverse sono declinate all’interno di una concezione unitaria – e quello del design accessibile, sostenibile nel prezzo e aperto al grande pubblico. Ed è a questa idea di design democratico che saranno indirizzate anche la Sorella o la Nitia di Bonetto, prodotte negli anni Settanta e anch’esse oggi rieditate.
Questo progetto incarna perfettamente alcune istanze della modernità degli anni Sessanta, funzioni lungimiranti, prioritarie ancora oggi, come la portatilità degli oggetti (vedi la grande maniglia di Polsino), la leggerezza e l’adattabilità a più ambienti, dal soggiorno alla zona notte, dalla casa all’ufficio (temi tra l’altro già indagati da Ponti stesso nei suoi mobili smontabili o trasportabili su rotelle).
Ed oggi vive una riedizione filologica ma aggiornata su temi di sostenibilità ormai imprescindibili, attraverso l’uso di fonti a led e di materiali come plastica e alluminio riciclati.
Qui l’idea pontiana di tradurre in espressione estetica la tecnica non poteva avere esemplificazione più calzante.
Oggi le riedizioni di tutti questi classici d’archivio, riscoperti e riportati a nuova vita, sono da salutare come parte di un cammino che nasce da lontano. Perché, come sosteneva lo stesso Ponti in “Amate l’Architettura”, “la luce che un tempo era solo una fiamma e doveva essere isolata, a sé, per non bruciare, ora corre a dove noi vogliamo”.